Massimo Tagliaferri: la mia prima gara fu un Trail di 135 km- di Matteo SIMONE

Immagine 2

 

 

Non si finisce mai di sorprendersi per quello che è possibile fare, per quello che fanno gli altri, per i paradossi che esistono nella vita considerata ordinaria. A volte si prova a buttarsi nella mischia, a saltare la propedeucità degli eventi e ci si accorge che si può stravolgere il sensato, l’ordiario, le cose scontate, Massimo ci racconta come è passato da uno sport semi-professinistico come la canoa ad un altro più gioioso ma faticoso come la corsa di lunghe distanze.

Cosa significa per te essere ultramaratoneta? “Signifca correre distanze un po’ fuori da quelle convenzionali, senza preoccuparsi troppo.”

Qual è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta? “Vengo dal canottaggio semi-professionistico. Dovendo smettere per motivi di lavoro, inizio a correre per mantenere la forma. Non so ancora il perché ma la mia prima gara fu un Trail di 135 km (a quei tempi in Italia non esistevano quindi dovetti andare in Francia dove ne esistevano 3 o 4) iscritto con una preparazione sommaria, solo con l’idea di andare all’avventura. Fu invece l’inizio.”

1

Quando c’ìè la passione puoi fare tutto e vuoi andare ovunque, ti senti invincibile ed infermabile.

Cosa ti motiva ad essere ultramaratoneta? “Ho la fortuna di avere un fisico che mi permette di venir fuori sulla distanza. Soffro i primi 40 km, poi inizio a stare bene (di solito) ed entro nella mia dimensione.”

Anche Massimo ha scoperto un mondo paralelo, fatto a sua dimensione, una sorta di rifugio dal niormale per immergersi nella straordinarietà della corsa di lunga distanza.

Hai mai rischiato per infortuni o altri problemi di smettere di essere ultramaratoneta? “Si, più volte. Un tendine di Achille operato, una frattura al perone, una alla tibia, varie fasciti, pubalgie ecc… ma alla fine sono sempre riuscito a recuperare.”

Sembra alquanto resiliente Massimo, tanti fermi ma sempre rialzato e sempre pronto a ripartire per le imprese più dure.

Cosa ti spinge a continuare ad essere ultramaratoneta? “Onestamente? Il fatto che dopo tanti anni (più di 15…) riesco ancora a vincere o ottenere buoni risultati.”

Il vantaggio per Massimo è duplice non solo ha la passione, si diverte, trova la sua dimensione ma riesce talmente bene che i riusltati lo portano alla vittoria e quindi tutto diventa oltre che più semplice anche più allettante, duplice motivazione intrinseca per il divertimento e la passione e la sfida in se e estrinseca per i riconoscimenti ricevuti.

Hai sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare? “Molte volte, fortunatamente però la testa è intervenuta sempre in tempo, facendomi desistere. E ne sono ben contento.”

Massimo riesce a far funzionare non solo le gambe ma anche la testa ed in questo modo non ci sono crisi che riescono a piegarlo o ad arrestarlo, con la testa allenata si va avanti sempre ed in ogni modo con qualsiasi modalità fino al traguardo e sempre forti.

Quali i meccanismi psicologici ritieni ti aiutano a partecipare a gare estreme? “Sinceramente non l’ho mai capito. Vasco diceva che ‘è tutto un equilibrio sopra la follia’. Sono pienamente d’accordo. Il cervello dopo tante ore o tanti km, si stabilizza in una dimensione propria, non si pensa più alla fatica o allo stress psico-fisico, si va avanti e basta senza quasi rendersene conto.”

Gli viene facile a Massimo, tutto diventa più facile, basta assecondare la follia e non preoccuparsi prima del tempo, l’importante è partire convinti e determinati e fidarsi di se stessi, il resto viene da solo. Si entra in una dimensione speciale che ti porta comodamente avanti senza farsi arrestare dalle fantasie catastrofiche o limitanti.

Quale è stata la tua gara più estrema o più difficile? “Sicuramente la Diagonale des Fous a La Reunion. Tecnicissima e durissima: 2 partecipazioni e due ritiri, l’ultimo a pochi km dalla fine.”

Ma non tutto è facile, ci son

Quale è una gara estrema che ritieni non poterci mai riuscire a portarla a termine? “La diagonale des Fous. Psicologicamente penso che partirei già che l’idea di non finirla: l’approccio più sbagliato che ci possa essere.o dei limiti ed è bene rispettare questi limiti.

Importante avere la consapevolezza dei propri limiti e decidere quello che si può o non si può fare.

Ti va di raccontare un aneddoto? “In 15 anni me ne sono successi tantissimi, uno dei più recenti mi è successo lo scorso mese in Cina. 

Immagine 3

Stavo correndo in pieno deserto, in autonavigazione. Ero in mezzo al nulla e vedo in lontananza una tenda con delle bandiere rosse simili a quelle dei C.P. della gara. Smetto di guardare il GPS e punto dritto lì. Quando arrivo mi accorgo di che è una venditrice di meloni ed io ho fatto un errore che mi costerà 2 ore di gara in più! Ma la mia domanda fu: ma a chi cavolo questa vende i meloni in pieno deserto!!! Ma forse era solo un miraggio.”

Questo tipo di gare ti fanno sperimentare anche miraggi, è importante fare attenzione ed ascoltare i segnali del proprio corpo e rimanere sempre sul qui e ora momento per momento per non trovarsi fuori pista soprattutto in posti sconosciuti o dove le temperature cambiano nel gior di poche ore o dove non si ha la possibilità di rifornirsi. Tanta attenzione è importante per il proprio benesssere.

Cosa hai scoperto del tuo carattere nel diventare ultramaratoneta? “A volte mi sorprendo ancora, quando sto per mollare c’è un qualcosa che mi spinge a non farlo. Questa cosa mi è servita moltissimo anche nella vita.”

E’ un attimo per decidere di fermarsi o arrendersi ma è importante fare affidamento sulle proprie risorse mostrate di averle in altre occasioniin passato, così le tante crisi superate servono a fondare le basi per un incremento di autoefficacia nel superare eventuali crisi nella vita del mondo pqrallelo a quello sportivo.

Come è cambiata la tua vita famigliare, lavorativa? “Ho fatto dell’ultra-maratona una ragione di vita. Chi mi è stato o chi mi è accanto non mi ha mai fatto pesare la cosa e lavorando in proprio sono quasi sempre riuscito a gestire bene la situazione.”

Amare qualcuno o qualcosa, significa saper gestire momenti di vita individuali e comuni per prolungare la gioia della condivisione e la passione per qualcosa di importante.

Ai fini del certificato per attività agonistica, fai indagini più accurate? Quali? “Da quando sono nella squadra Nazionale di Ultramaratona, ho la fortuna di essere monitorato in una clinica che ci supporta, il cuore soprattutto è la parte che viene più tenuta sotto controllo.”

Massimo è in buone mani, si può affidare al team messo a disposizione dalla Nazionale, così può esprimersi al meglio della sua forma fisica nelle dure imprese di gare di corsa di ultra distanza.

Hai un sogno nel cassetto? “Si mi piacerebbe, in futuro insegnare e trasmettere agli altri quello che l’ultra mi ha fatto imparare e dato in tutti questi anni.”

Il sogno di Massimo non è una gara da vincere o da portare a termine perché considerata forse impossibile, ma di continuare a star bene con se stesso trasmettendo insegnamenti di vita appresi durante la sua lunga carriera sportiva. Grande merito a Massimo per le sue gesta sportive ed i suoi intenti encomiabili.

Matteo SIMONE

http://edizionifs.com/shop/doping/

http://edizionifs.com/autori/matteo-simone/

http://www.arasedizioni.com/files/catalogo/popup.php?cID=1&pID=266

 

Massimo Tagliaferri: la mia prima gara fu un Trail di 135 km- di Matteo SIMONEultima modifica: 2015-12-10T12:00:41+01:00da atleticanotizie
Reposta per primo quest’articolo