Alex Schwazer assapora il successo dopo quasi 4 anni di squalifica per doping- di Matteo SIMONE

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Lo sport praticato in maniera corretta e con il rispetto delle regole fa tanto bene per la salute psicofisico e quindi è importante da parte di tutti, cittadini, associazioni ed istituzioni mobilitarsi per una corretta informazione e sensibilizzare alla pratica dello sport quale attività aggregativa e senza scorciatoie.

Alex Schwazer campione olimpico della 50 km di marcia a Pechino 2008, durante un controllo antidoping alla vigilia dei Giochi olimpici di Londra 2012, viene trovato positivo all’eritropoietina, ed è sospeso dal Tribunale Nazionale Antidoping per tre anni e mezzo. Attualmente si allena a Roma seguito dal tecnico Sandro Donati che da consulente della Wada, l’Agenzia Mondiale Antidoping, da sempre ha contrastato il doping in tutti i modi, ma si è sempre mostrsto umano riconoscendo da una parte le colpe e le fragilità degli atleti e dall’altra parte le colpe e gli interessi di altre figure che aiutano o addirittura invogliano gli atleti ad usare sostanze e metodi dopanti. Questa volta Sandro Donati ha preso a cuore la persona atleta Alex Schwazer, fidandosi di quest’ultimo ed aiutandolo a superare questo lungo periodo di crisi e di fallimento sia come atleta che come uomo, dandogli a modo suo un’altra possibilità addirittura tornando a fare il tecnico e preparandolo alle gare post squalifica.

Sul magazine «Atletica» gen./feb. 2013 è riportata un’intervista a Giomi, Presidente FIDAL, il quale si esprime con queste parole rispetto al doping: “La federazione farà tutto il possibile e anche di più per combatterlo. Ho scoperto che noi non possiamo più fare i controlli a sorpresa. Spettano al Coni. Noi possiamo solo segnalare i casi che a nostro avviso destano qualche sospetto. Io avrei preferito fare i controlli direttamente, ma non metto in discussione le regole. Di sicuro faremo più esami perché i nostri atleti abbiano un passaporto biologico garantito. Non a caso abbiamo raddoppiato l’investimento nel settore sanitario. Vogliamo arrivare a una sistematicità di analisi in strutture pubbliche o convenzionate. Ma soprattutto basta con questa storia per cui “senza il doping non si vince”. Il doping fa male prima di tutto alla testa. Io invece dico: “senza doping si può vincere”. È un problema di mentalità, di organizzazione della propria vita, tra allenamento in campo, tempi di recupero, riposo, alimentazione.” (Atletica, magazine della Federazione Italiana di Atletica Leggera).” (2)

Come dice l’amico e collega Gaetano Buonaiuto: «Il fenomeno del doping è insidioso e accattivante allo stesso tempo: come un vaso di Pandora, esso rappresenta la promessa di “miracolosi” risultati, impossibili da raggiungere senza un aiuto esterno. I limiti che si vogliono a tutti i costi superare non rappresentano solo e soltanto quelli fisici. Spesso i primi limiti che si oltrepassano sono quelli mentali, psicologici, morali e spirituali. In una società complessa e sofisticata come la nostra, sotto il bombardamento costante dei mass-media, costruiamo l’immagine ideale cui vorremmo tutti assomigliare: successo e vanità sembrano vuoti e pesanti golem che hanno la capacità di schiacciare le nostre fragilità e debolezze dello spirito».

Nel 2014 nel mio libro dal titolo: ”Doping, il cancro dello sport” (1), scrivo a proposito della vicenda Alex Schwazer ed all’importanza della motivazione nello sport per saper gestire le vittorie e tutto ciò che ne deriva: “Quando si diventa campioni, professionisti, non è più sufficiente la sola motivazione intrinseca per ottenere risultati, cioè il piacere, la soddisfazione nel riuscire. Per ottenere la massima prestazione, oltre alla motivazione intrinseca, è importante che ci sia anche una motivazione estrinseca e, cioè, l’essere riconosciuti dagli altri, ottenere i contratti con gli sponsor, i guadagni più elevati.

È importante che ci siano entrambe le motivazioni perché se si perde il piacere di fare un allenamento, di fare una prestazione, se si fa sport solo per guadagnare, in questo caso non si è più disposti a perdere, si accettano con più fatica le sconfitte e gli infortuni e si è più facilmente tentati dall’usare sostanze dopanti.

Potrebbe essere questo che ha portato Alex Schwazer, il nostro campione di marcia, alla vigilia delle Olimpiadi di Londra del 2012, a far uso di sostanze: l’aver dato Doping. Il cancro dello sport importanza solamente al valore della vittoria e non al piacere, alla soddisfazione nel riuscire a fare un allenamento faticoso, nel riuscire a superare un test duro in previsione di una competizione internazionale.

Se lo sport diventa solamente fatica, solamente sofferenza, solamente rinunce, lo sportivo crolla, diventa vittima di uno stress che da solo non riesce a gestire e c’è il rischio che arrivi a pensare che senza vittoria è una nullità perché è abituato a riconoscersi solo attraverso gli apprezzamenti degli altri (Simone M., O.R.A. Obiettivi, Risorse, Autoefficacia. Modello di intervento per raggiungere obiettivi nella vita e nello sport).” (2)

La considerazione che si deve fare è che oggi nella gara sportiva si è arrivati a un agonismo cosí spinto, a interessi economici talmente grossi, che l’atleta cerca con ogni mezzo di migliorare la sua prestazione. Anzi, l’atleta sostiene di «sentirsi costretto» a fare in questo modo perché i tifosi pretendono i risultati, i giornali criticano le scarse prestazioni e gli allenatori spingono affinché venga raggiunto un rendimento sempre maggiore.

Un anno fa Alex faceva le seguenti dichiarazioni durante la conferenza stampa al Coni del 12 febbraio 2015: “Voglio trovare un mio progetto nuovo, bello e serio: questa è la mia ambizione; ma la 50 km va preparata. Io vorrei far vedere che si può vincere senza doping. Non voglio togliere il posto a nessuno, ma voglio comunque avere la possibilità di fare i miei tempi. Gareggiare è importante… mettersi il pettorale è importante. Sto bene. Voglio correre. In qualche maniera ritornerò a gareggiare. Sono convinto che nella 50 km se sto bene posso primeggiare. Ho sbagliato, ho pagato e sto pagando il mio prezzo. Dovevo fare questi anni di alti e bassi per capire che un atleta ha il suo valore, che lo Sport non deve diventare un’ossessione. Io non voglio più guardare a destra e a sinistra, vedere cosa fanno gli altri ma voglio concentrarmi su di me. Mi sto allenando quotidianamente, da solo. Faccio 250 km a settimana, a piedi. Sarebbe bello avere un obiettivo vicino. Sono disponibile per qualsiasi progetto anti-doping. Vincerà sempre chi ha più classe, non quello che ha usato doping. Confido nella Riduzione della squalifica di tre anni e sei mesi per poter tornare ad esprimermi al meglio. Ringrazio chi mi è stato vicino in tutti questi anni e in particolare l’avvocato Gerhard Brandstaetter e la mia manager Giulia Mancini”.

Alex è stato disponibile a mostrarsi collaborativo aderendo ad un progetto a cura dell’associazione Libera che da anni impegnata nei percorsi educativi con i ragazzi dell’are a penale, persone che hanno sbagliato durante il loro percorso personale, così come ha sbagliato Alex, persone che possono scegliere di rimettersi in gioco e avere una nuova opportunità.

Alex un anno fa ha presentato in conferenza stampa a Roma il progetto per il suo ritorno, a squalifica conclusa, all’attività agonistica. Con lui erano presenti Alessandro Donati, consulente della Wada; il professor Dario D’Ottavio, biochimico clinico di fama nazionale ed esperto di doping; l’Avv Gerhard Branstaetter, legale di Alex; Enrico Fontana, coordinatore nazionale di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” e Giulia Mancini (Mancini Group), manager di Alex.

Riporto di seguito il messaggio inviato da Don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera.

Sandro Donati che allena Alex Schwazer. Una bella notizia! E un progetto di cui Libera è felice di farsi garante anche per la sua forza simbolica, una forza che speriamo induca altri atleti a uscire dall’ombra, denunciare, riconquistare la propria dignità e libertà.

Noi crediamo da sempre, investendo forze e energie, nello sport come strumento educativo. Lo abbiamo fatto nelle scuole, nelle periferie, nei terreni confiscati alle mafie. Lo abbiamo fatto a Lampedusa, con una corsa che ogni anno coinvolge tutti i ragazzi dell’isola, una corsa per l’accoglienza e dunque per la vita.

Ma per essere educativo lo sport deve essere pulito. E chi meglio di Sandro Donati, che lavora con Libera da molti anni, può rappresentare quest’esigenza di pulizia, di trasparenza?

Sandro ha speso la sua vita allenare, oltre che i muscoli, le coscienze degli atleti, facendo scelte difficili e pagando di persona. Essere maestri dello sport, del resto, significa insegnare che nello sport, come nella vita, vince chi non bara, chi rifiuta le scorciatoie e i compromessi, chi, di fronte a un bivio, sceglie la via indicata dalla coscienza, non quella suggerita dal tornaconto.

Per questo non bastano le regole. L’etica, prima che nei codici, è scritta nelle coscienze. E allora ben vengano riforme vere, coraggiose, radicali. Ben vengano, riguardo il doping, agenzie terze, indipendenti, che non siano al tempo stesso controllore e controllato. Senza dimenticarci però che nulla potrà cambiare senza una generale assunzione di responsabilità, un impegno condiviso e ogni livello, dai vertici alle realtà amatoriali, per bonificare lo sport dal doping e da tutto un più vasto genere di interessi – politici, economici, finanziari – che ne hanno mortificato la funzione sociale e culturale.

In questo senso la collaborazione fra Sandro Donati e Alex Schwazer può rappresentare davvero un punto di partenza, la base di una marcia dove la tecnica e l’etica, il bene e il bello vanno finalmente di pari passo e lo sport torni a essere un fatto umano, la grande avventura di chi insegue i propri sogni senza dimenticare i propri limiti».

Pochi giorni fa Alex Schwazer, dopo la squalifica per doping, torna a gareggiare l’8 maggio 2016 in occasione dei campionati del mondo a squadre di marcia organizzati a Roma, gara che vince con il tempo di 3’39″00 guadagnandosi un posto per le Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Il podio finale: 1° Alex Schwazer con 3h39’00”, 2° Jarrett Tallent con 3h42’36”, 3° Igor Glavan con 3h44’02”.

L’Italia vince i Campionati Mondiali di Marcia a Squadre di Roma 2016. La classifica degli azzurri: 1° Alex Schwazer con 3h39’00”, 4° Marco De Luca con 3h44’37”, 5° Teodorico Caporaso con 3h48’29” , 8° Matteo Giupponi con 3h52’27”, 13° Federico Tontodonati con 3h55’17”

Che succede? Non si sa se applaudirlo, oppure continuare ad accusarlo per quello che ha fatto, per quello che potrebbe rifare, la cosa più naturale per molti è offenderlo, giudicarlo, chiedere che rimanga a casa, ma a volte è importante comprendere cosa c’è dietro un atleta, cosa c’è nella mente di un atleta, come può un atleta cascare nella sabbia mobile del doping. Cosa succede quando si casca nei tranelli del doping? Certo la responsabilità è sempre personale ed individuale e poi ci può essere qualcun altro che ha contribuito a questa caduta in basso, ma in ogni caso la persona va riabilitata in qualche modo, è importante concedere una seconda chance. Nel caso di Alex ha attraversato tante fasi nella sua vita di persona e di atleta, c’è stato il suo percorso nel diventare campione, la sua evoluzione di uomo, il suo fallimento nell’essere cascato nella rete del doping, la perdita degli affetti e di persone importanti della sua vita. Alex poteva reagire in diversi modi, per esempio poteva abbandonare la carriera sportiva, invece ha scelto di riscattarsi in qualche modo, di riprendere a sudare, a faticare, di cercare a coltivare motivazioni altre, Alex è riuscito a trovare un qualcosa che lo facesse andare avanti, e lo sport a volte aiuta a passare momenti critici, non è facile attraversare un percorso di quasi 4 anni di doping, ma tutto passa, senza fretta, è possibile definire nuovi obiettivi con modalità diversa, mettendo anche in conto la rabbia dei fan, delle persone che ti hanno voluto bene e che sono rimaste deluse. Insomma Alex è riuscito ad attraversare questi lunghi anni di sospensione dallo sport ed a rimettersi in gioco dimostrando che se vuole può riscoprire la voglia ed il piacere di faticare nello sport per ottenere eccellenti risultati per se stesso ma anche per la squadra Italia.

Certo l’impronta di dopato non si cancella, è come una cicatrice indelebile, ma nella vita bisogna andare avanti ed è importante apprendere dagli errori, potrebbe essere un esempio per tanti altri, potrebbe sensibilizzare i più giovani a non incorrere nello stesso suo errore, a fidarsi delle persone care, ad esprimere le sue difficoltà a persone di riferimento che ti possano comprendere e consigliarti.

  1. Atletica, Magazine della Federazione Italiana di Atletica Leggera, n. 1 gen./feb. 2013, pp. 15-16.

  2. Simone M., Doping. Il cancro dello sport, Edizioni Ferrari Sinibaldi, Milano, 2014, pp. 40-41.

  3. Simone M., O.R.A. Obiettivi, Risorse, Autoefficacia. Modello di intervento per raggiungere obiettivi nella vita e nello sport, Edizioni ARAS, Fano, 2013.

Matteo SIMONE

 

Alex Schwazer assapora il successo dopo quasi 4 anni di squalifica per doping- di Matteo SIMONEultima modifica: 2016-06-03T08:39:49+02:00da atleticanotizie
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