Daniele Meucci ritorna agli europei di corsa campestre, l’intervista su Repubblica.it

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Pubblichiamo una interessante intervista fatta a Daniele Marucci apparsa su Republican.it

 “MI rimane sempre una gran voglia di correre, nonostante non sia più un ragazzino. E non è un caso. Ci ho sempre pensato, fin dai tempi del liceo: l’atletica doveva essere una cosa molto importante nella mia vita, ma non l’unica”. Mai sui campi al 100% e senza tempo per il resto. Mai. Ecco la ricetta di Daniele Meucci, 33 anni, atleta dell’Esercito, oro europeo nella maratona di Zurigo nel 2014, pisano, tre figli, l’ultima arrivata si chiama Greta e ha appena otto mesi, dottore in ingegneria dell’automazione. “Un aspetto nutre l’altro”. Meucci non parla da mesi e mesi. Rimase male quando finì impelagato nella questione dei “whereabouts”, delle reperibilità mancate per i controlli anti-doping. Soprattutto non gli andò giù di finire in un secondo tra i mostri e di non aver trovato la stessa accoglienza quando venne il momento che la stampa annunciasse la sua estraneità ai fatti. E adesso dopo cinque anni, domenica 9, Daniele tornerà a correre il cross agli Europei di Tilburg (Olanda). L’ultima volta che apparve in una campestre correva l’anno 2013 (a Budapest nel 2012 aveva preso il bronzo europeo, così come a Dublino tre anni prima). “Gli Europei di Cross fanno parte del mio avvicinamento alla maratona dei Mondiali di Doha (ottobre 2019, ndr)”. E non è stato semplice. Anzi è stato complicatissimo.
“Esco da una polmonite”.

Accidenti, non viene da accostare un problema ai polmoni a chi vive e lavora respirando “a pieni polmoni”…
“Eh ma anche noi siamo fragili. A volte anche più delle persone che non corrono di mestiere”.
E come è successo? Ma soprattutto quando è successo?
“Venti giorni dopo gli Europei di Berlino, ad agosto sono andato ai Giochi del Mediterraneo a Tarragona per la mezza maratona. A dir la verità era già un mese che mi allenavo trascinandomi dietro uno strano affaticamento. Pensavo: sono carico di lavoro. Ci sta. Invece non ci stava. In Spagna, il giorno prima della gara avevo già qualche linea di febbre. Immagini dopo. Il vero guaio è stato quando sono tornato a casa. Dopo due giorni sembravo guarito. Dicono che la polmonite faccia così, è subdola. Mi convinsi che fosse tutto risolto, che magari era stato solo un problema con l’aria condizionata”.
E invece?
“Invece appena ho ripreso ad allenarmi è riesplosa la febbre, altissima, con dolori al petto, alle costole, praticamente non riuscivo a respirare. Non lo auguro a nessuno”.
Non riuscire a respirare…sembra un paradosso.
“Sto bene ma onestamente non sono ancora al 100%. Il polmone impiega un po’ per ritrovare la sua fisiologica elasticità. Anche se ero guarito, bastava un sforzo in più per farmi dire: datti una regolata, non è ancora il momento!”.
Difficile da gestire per un maratoneta, questo ritornare cauti…
“Anche perché tutti mi dicevano: stai attento, le ricadute sono anche peggiori”.
E domenica c’è il cross…
“La pre-europea è andata bene. La federazione mi ha chiesto se avessi voglia di partecipare, anche per il concorso a squadre. Ho detto di sì. E credo di aver dato la risposta giusta”.
E perché lasciò il cross nel 2013?
“Perché la maratona va preparata con ampi recuperi. Nel 2014 vinsi a Zurigo, nel 2015 corsi la maratona di New York e se corri una maratona in autunno non ce la fai a dedicarti al cross durante l’inverno. O meglio: non ha senso”.
Poi nel 2016 si fece male alle Olimpiadi…
“Mi ruppi il calcagno a Rio e rimasi tre mesi fermo”.
Il cross conserva un fascino clamoroso.
“Un fascino intatto. Ma i calendari sono intrecciati e nelle distanze lunghe bisogna gestire gli impegni. Di solito il cross viene vissuto come “passaggio”. Vi si dedicavano anche Bordin, Cova. Servivano anche a loro”.
L’obiettivo è Doha.
“Sono ripartito per quello”.
E che ne pensa della “fantasia” della maratona sotto le due ore?
“Un tema scivoloso. Non saprei, onestamente. A parte Kipchoge, tutti quelli che hanno corso una maratona, diciamo, sotto le 2h4′ si sono fermati. Insomma ne hanno corsa una sola così forte. Quei ritmi massacrano. Chi ha 2h5’/6′ si è al contrario ripetuto”.
Qual è il percorso più difficile sul quale le sia capitato di correre?
“New York: il più muscolare di tutti, non c’è un solo punto piatto, o salita o discesa. Infatti i tempi sono relativamente alti. Nessuno corre a New York per il personale. E i candidati alla vittoria finale debbono anche scontrarsi con il regolamento di quella gara, che non prevede lepri. Il tempo quindi non può abbassarsi più di tanto”.
Quanto è diverso il Daniele di 33 anni rispetto al ragazzo?
“Allora studiavo, ora ho una famiglia. L’energia dai libri è passata ai figli. Non mi sono mai immerso nello sport. E questo ha attirato anche molte critiche. Mi dicevano: chissà dove potresti arrivare se ti dedicassi alla corsa a tempo pieno. Ma io non ci sono mai riuscito. E un po’ ne vado fiero”.
Laureato con dottorato…
“Di recente, per un’azienda italiana, abbiamo presentato a New York un progetto di ricerca di dati informatici applicati allo sport”.
Ha cambiato allenatore.
“Un evento ancora fresco. Con Magnani sono rimasto in ottimi rapporti. Ma avevo bisogno di una svolta motivazionale. Ho pensato: ho due strade, o smetto o cambio marcia e punto ancora su me stesso. La polmonite è stato uno spartiacque comunque. Ora mi seguono ci sono Daniele Caimmi e mia moglie”. E così Daniele è ripartito.

Daniele Meucci ritorna agli europei di corsa campestre, l’intervista su Repubblica.itultima modifica: 2018-12-06T08:50:27+01:00da atleticanotizie
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